STRAGE DI USTICA

"NUOVI SVILUPPI" - La verità su USTICA grazie a tre ingegnieri napoletani che lavorano gratis

Simulata la traiettoria di caduta del DC9 Itavia in una ricerca del Dipartimento di Ingegneria industriale dell'Università di Napoli 

VIENE dal Dipartimento di ingegneria industriale della Federico II l’ultima verità su Ustica. Uno studio durato nove mesi, condotto dal professore Agostino De Marco sotto la guida del professore Leonardo Lecce e con la collaborazione dell’ingegnere Jury D’Auria. Un’équipe che, lavorando anche di notte, ha ricostruito traccia per traccia quello che accadde al Dc-9 Itavia la sera del 27 giugno 1980, quando morirono 77 passeggeri e 4 membri dell’equipaggio. Giungendo alla conferma scientifica che l’aereo raggiunse la superficie del mare quasi integro.
LA RELAZIONE. Secondo la relazione che è stata depositata al processo civile “Ustica bis” in corso a Palermo, l’aereo non si frantumò in volo. Riproducendo lo scenario all’ultimo istante nel quale il Dc-9 ha comunicato la propria posizione, il professore De Marco ha ricostruito la traiettoria di caduta che si concluse con un impatto sull’acqua: il velivolo entrò in mare integro, dopo essere caduto a vite, con la punta e l’ala destra, e poi si inabissò. «Ho esaminato tutti i dati disponibili, le immagini con tracce radar – spiega De Marco – relativi a frammenti, ad un altro velivolo e al Dc-9 precipitato. Ho ipotizzato che l’aereo non si fosse destrutturato e avesse mantenuto la struttura aerodinamica con la fusoliera praticamente integra. Un oggetto ha creato un foro, qualcosa in coda, il cono di coda quasi certamente si è distaccato, l’aereo ha perso il controllo. A quel punto il pilota non ha potuto fare nulla». Secondo il professore De Marco c’è stata dunque una perturbazione che ha fatto impennare la fusoliera verso l’alto. Utilizzando un potente software e le apparecchiature della Facoltà di Fuorigrotta, i tre ingegneri hanno potuto fissare con strumentazioni moderne ed esatte la posizione dell’aereo dell’Itavia all’atto dell’impatto. La parte anteriore della fusoliera fu la prima a toccare il mare, un impatto violentissimo, il che è compatibile con il relitto che presenta quel pezzo di fusoliera compressa entro un metro e mezzo. Poi è entrata in acqua l’ala destra, danneggiandosi (infatti, i resti recuperati di tale ala presentano segni di sbucciatura e apertura “a banana”). Infine, inabissandosi, è entrata in mare anche l’ala sinistra, rimasta sostanzialmente integra.
I FAMILIARI DELLE VITTIME. Questa ricostruzione, per l’avvocato dei familiari della strage, Daniele Osnato, è la conferma che il Dc-9 non solo non scoppiò in volo, ma fu colpito da un missile lanciato da un aereo che affiancò il velivolo sui cieli di Ustica quella sera di 34 anni fa. «Napoli è un’eccellenza — spiega l’avvocato dei familiari delle vittime di Ustica — un lavoro di livello internazionale che pone il dipartimento di ingegneria industriale tra i primi al mondo. E voglio dare atto che gli esperti napoletani hanno svolto questo lavoro a titolo assolutamente gratuito. De Marco e i suoi hanno lavorato senza condizionamenti. Ci siamo tenuti in contatto in questi mesi, anche lavorando di notte, tramite un sistema di collegamento integrato dei dati che utilizza un host remoto. Con me ha collaborato Maurizio Landieri».
IL LAVORO DI ÉQUIPE. «Fui contattato dall’avvocato Osnato un anno fa — racconta De Marco, 45 anni, dal 2002 alla sezione di ingegneria aerospaziale — mi chiese se c’erano nuovi strumenti per esaminare le tracce radar. Gli aveva parlato di me il professore Lecce. Io mi occupo di simulazioni di volo. Avevo bisogno di ricostruire lo scenario dell’incidente, esaminare i dati, scorrere le perizie esistenti. Gli dissi di sì». De Marco coinvolse nella ricerca un suo allievo, l’ingegnere D’Auria, e si mise all’opera nel marzo scorso. Studiando le carte e le foto conservate a Rebibbia, i documenti declassificati ad aprile dal governo Renzi, riesaminando le tracce radar, i tre ingegneri napoletani hanno reso omogenei i dati già esistenti e hanno realizzato una simulazione dell’incidente.
LA SODDISFAZIONE DI UN PIONIERE. «È un bell’orgoglio per Napoli aver realizzato questo studio» racconta il professore Leonardo Lecce, direttore del Dipartimento di ingegneria industriale che «rappresenta la continuazione di una lunga e gloriosa tradizione nello studio, ricerca e diffusione delle discipline aerospaziali che ha le sue lontane radici nell’Istituto di costruzioni aeronautiche, attivo dal 1926, fondato e diretto dal professore Umberto Nobile, famoso progettista e pilota di dirigibili, nonché esploratore polare. Il professore Lecce nel 1984 fu chiamato dal giudice istruttore Vittorio Bucarelli, assieme ad altri esperti coordinati dal professore Massimo Blasi, a stabiliere la cause del distastro: nel marzo 1989 scrisse con gli altri esperti la relazione “Blasi 1” che ipotizzò la pista del missile, poi smontata dalla relazione sull’esplosione interna, a sua volta cancellata dalla Cassazione nell’ottobre 2013. Un missile, dunque, nessuna bomba a bordo. «Io mi sono limitato a ricostruire la traiettoria di caduta — precisa De Marco — che è compatibile con le condizioni in cui sono stati ritrovati i frammenti del Dc-9. L’aereo subì in volo un’impennata e poi precipitò».
Il professore Lecce si dice «contento del risultato, perché si offre sostegno scientifico a quanto avevamo ipotizzato nel 1989. A Napoli abbiamo sviluppato una fortissima capacità di simulazione degli incidenti aerei, diamo supporto all’Enav. Una grande capacità, un orgoglio per la città». Un caso,quello di Ustica, che continua a sollevare polemiche. «Sono stato tempestato di telefonate — racconta il professore De Marco — mi ha chiamato anche un ex ministro che mi contestava l’aver sostenuto l’ipotesi del missile. Ho risposto: io ho ricostruito la traiettoria, una perturbazione ha fatto impennare l’aereo, i piloti hanno perso il controllo. Poi l’impatto: altri faranno le valutazioni sulle cause. Mi ha risposto: “Ha ragione”»

da Repubblica.it Napoli del 18.12.2014 Antonio Ferrara

Le morti sospette secondo l'inchiesta Priore


Per due dei 14 casi di decessi sospetti permangono indizi di relazione al caso Ustica:

  • Maresciallo Mario Alberto Dettori: trovato impiccato il 31 marzo 1987 in un modo definito dalla Polizia Scientifica "innaturale", presso Grosseto. Mesi prima, preoccupato, aveva rovistato tutta la casa alla ricerca di presunte microspie. Vi sono indizi fosse in servizio la sera del disastro presso il radar di Poggio Ballone (GR) e che avesse in seguito sofferto di «manie di persecuzione» relativamente a tali eventi. Confidò alla moglie: «Sono molto scosso... Qui è successo un casino... Qui vanno tutti in galera!». Dettori confidò con tono concitato alla cognata che "eravamo stati a un passo dalla guerra". Il giudice Priore conclude: «Sui singoli fatti come sulla loro concatenazione non si raggiunge però il grado della prova».
  • Maresciallo Franco Parisi: trovato impiccato il 21 dicembre 1995, era di turno la mattina del 18 luglio 1980, data dell'incidente del MiG libico sulla Sila. Proprio riguardo alla vicenda del MIG erano emerse durante il suo primo esame testimoniale palesi contraddizioni; citato a ricomparire in tribunale, muore pochi giorni dopo aver ricevuto la convocazione. Non si riesce a stabilire se si tratti di omicidio.

Gli altri casi presi in esame dall'inchiesta, sono:

  • Colonnello Pierangelo Tedoldi: incidente stradale il 3 agosto 1980; avrebbe in seguito assunto il comando dell'aeroporto di Grosseto.
  • Capitano Maurizio Gariinfarto9 maggio 1981; capo controllore di sala operativa della Difesa Aerea presso il 21º CRAM (Centro Radar Aeronautica Militare Italiana) di Poggio Ballone, era in servizio la sera della strage. Dalle registrazioni telefoniche si evince un particolare interessamento del capitano per la questione del DC-9 e la sua testimonianza sarebbe stata certo «di grande utilità all'inchiesta» visto il ruolo ricoperto dalla sala sotto il suo comando, nella quale, peraltro, era molto probabilmente in servizio il maresciallo Dettori. La morte appare naturale, nonostante la giovane età.
  • Giovanni Battista Finettisindaco di Grosseto: incidente stradale; 23 gennaio 1983. Era opinione corrente che avesse informazioni su fatti avvenuti la sera dell'incidente del DC-9 all'aeroporto di Grosseto. L'incidente in cui perde la vita, peraltro, appare casuale.
  • Maresciallo Ugo Zammarelli: incidente stradale; 12 agosto 1988. Era stato in servizio presso il SIOS di Cagliari, tuttavia non si sa se fosse a conoscenza d'informazioni riguardanti la strage di Ustica, o la caduta del MiG libico.
  • Colonnelli Mario Naldini e Ivo Nutarelli: incidente di Ramstein28 agosto 1988. In servizio presso l'aeroporto di Grosseto all'epoca dei fatti, la sera del 27 giugno, erano in volo su uno degli F-104 e lanciarono l'allarme di emergenza generale. La loro testimonianza sarebbe stata utile anche in relazione agli interrogatori del loro allievo, in volo quella sera sull'altro F-104, durante i quali, secondo l'istruttoria, è «apparso sempre terrorizzato». Sempre secondo l'istruttoria, appare sproporzionato - tuttavia non inverosimile - organizzare un simile incidente, con esito incerto, per eliminare quei due importanti testimoni.
  • Maresciallo Antonio Muzioomicidio1º febbraio 1991; in servizio alla torre di controllo dell'aeroporto di Lamezia Terme nel1980, poteva forse essere venuto a conoscenza di notizie riguardanti il MiG libico, ma non ci sono certezze. Il Maresciallo dell'Aeronautica muore a 39 anni freddato da tre colpi di pistola al ventre nella sua abitazione di Pizzo Calabro. La pistola è quella del sottuficiale ma per gli inquirenti è da escludere il suicidio. Musso ha lavorato all'aeroporto di Lamezia Terme, uno scalo direttamente coinvolto nella vicenda del Mig libico, del recupero sulla Sila e della restituzione a Gheddafi.
  • Tenente colonnello Sandro Marcucci: incidente aereo; 2 febbraio 1992. Alessandro Marcucci era un ex pilota dell’Aeronautica militare coinvolto come testimone nell’inchiesta per la strage di Ustica. L'incidente fu archiviato motivando l'errore del pilota. Da pochi giorni però il pm di Massa Carrara, Vito Bertoni, riapre l'inchiesta per omicidio effettuato da ignoti. Secondo l’associazione antimafia “Rita Atria”, l’incidente non fu causato da una condotta di volo azzardata, come sostennero i tecnici della commissione di inchiesta, ma probabilmente da una bomba al fosforo piazzata nel cruscotto dell’aereo.
  • Maresciallo Antonio Pagliara: incidente stradale; 2 febbraio 1992. In servizio come controllore della Difesa Aerea presso il 32º CRAM di Otranto, dove avrebbe potuto avere informazioni sulla faccenda del MiG. Le indagini propendono per la casualità dell'incidente.
  • Generale Roberto Boemio: omicidio; 12 gennaio 1993 a Bruxelles. Da sue precedenti dichiarazioni durante l'inchiesta, appare chiaro che «la sua testimonianza sarebbe stata di grande utilità», sia per determinare gli eventi inerenti al DC-9, sia per quelli del MiG libico. La magistratura belga non ha risolto il caso.
  • Maggiore medico Gian Paolo Totaro: trovato impiccato alla porta del bagno, il 2 novembre 1994. Gian Paolo Totaro era in contatto con molti militari collegati agli eventi di Ustica, tra i quali Nutarelli e Naldini.
  • Ministro Antonio Bisaglia: nel 1980 è il ministro dell'industria membro del CIIS (Comitato Interministeriale per la Sicurezza) La sua presenza nel governo all'epoca di Ustica sembra essere collegata al tentativo di depistaggio compiuto ad opera di un giornalista amico o conoscente dell'allora ministro dell'Industria. Muore cadendo dalla sua barca nel mare di S.Margherita Ligure in una tranquilla giornata d'estate del 1984. Una domenica come le altre. Una barca diversa dalle altre: il "Rosablù" varata nel 1966 vanta i suoi 22 metri di lunghezza e una grande manovrabilità, ma per quel giorno non sono sufficienti. I testimoni dell'incidente dicono che potrebbe essere stata un onda anomala a far cadere in acqua il senatore dmocristiano. Chi stava a 50 mt. di distanza dal panfilo parla invece di un mare completamente piatto. La sua morte ha creato non pochi problemi e tanti dubbi al fratello sacredote, Don Mario Bisaglia.

Ustica, altra morte sospetta suicida ex ufficiale medico

la Procura di Udine ha aperto un' indagine sul suicidio di Giampaolo Totaro 43 anni, ex ufficiale medico dell' Aeronautica militare.

Era in servizio nella base delle Frecce Tricolori TITOLO: Ustica, altra morte sospetta Suicida ex ufficiale medico Si e' impiccato il giorno dopo le rivelazioni su Ramstein

ROMA . La Procura di Udine ha aperto un' indagine sul suicidio di Giampaolo Totaro, 43 anni, ex ufficiale medico dell' Aeronautica militare, dal ' 76 all' 84 in servizio presso la base delle Frecce Tricolori a Rivolto. E da Roma, il giudice istruttore Rosario Priore ha richiesto copia degli atti, per verificare l' esistenza di eventuali collegamenti tra questa morte e le ultime rivelazioni sulla strage di Ustica. Si tratta del 15 caso di decesso sospetto o comunque collegato al mistero irrisolto del DC9 esploso la notte del 27 giugno di quindici anni fa. Il 15 caso su cui viene aperta una inchiesta o vengono compiuti accertamenti. Pochi i dettagli sui motivi che avrebbero spinto l' ex ufficiale a togliersi la vita. Ma un paio di coincidenze hanno comunque indotto la magistratura a decidere di spazzar via ogni possibile dubbio sulla fine di Totaro, trovato impiccato alla porta del bagno della sua abitazione la mattina del 2 novembre. Primo: gli anni trascorsi da medico accanto ai piloti Nutarelli e Naldini, gli ultimi a volare su un TF104 decollato dalla base di Grosseto la sera della strage ed entrambi morti nello spaventoso incidente di Ramstein, durante un' esibizione delle Frecce. Secondo: la pubblicazione il 31 ottobre, cioe' il giorno prima del suicidio di Totaro, d' una serie di rivelazioni che collegherebbero Ustica alle Frecce e a Ramstein. Proveniente dall' Accademia, Totaro era rimasto a Rivolto in qualita' di ufficiale medico fino all' 84, portando a termine gli otto anni di ferma minima. E dal 1981, subito dopo aver prestato servizio alla base di Grosseto come istruttori, a Rivolto erano stati trasferiti anche Nutarelli e Naldini. Negli anni passati, i loro nomi erano piu' volte emersi nell' inchiesta di Ustica. Insieme e a bordo di uno stesso TF104 avevano volato la sera della strage, rientrando a Grosseto circa 20 minuti prima dell' esplosione. La loro morte durante l' esibizione di Ramstein nell' 89 aveva persino fatto avanzare sospetti sulla dinamica dell' incidente. Per questo ma anche per verificare se i registri della base di Grosseto erano stati manipolati, il giudice Priore aveva interrogato le vedove e gli amici dei due piloti. Una settimana fa, la clamorosa sortita del senatore Erminio Boso, vicepresidente della Commissione di controllo dei servizi segreti: la strage di Ustica fu causata da un missile italiano lanciato da un F104. Una rivelazione che Boso afferma di aver raccolto da ambienti della stessa Aeronautica militare e su cui e' stato interrogato dal giudice Priore. Se ne occupano diversi quotidiani, tra cui il Gazzettino: che in due riprese pubblica ampi resoconti delle affermazioni di Boso e riprende in un' intervista la stessa tesi avanzata da un ex ufficiale dell' Aeronautica, Mario Ciancarella, che da anni sostiene una responsabilita' diretta italiana nella strage di Ustica. Gli articoli sul Gazzettino appaiono il 25 e il 31 ottobre, un giorno prima che Giampaolo Totaro decida di chiudersi in casa e impiccarsi alla porta del bagno. Nell' 87, era morto suicida (impiccato a un albero) il maresciallo Alberto Dettori, in servizio al radar di Poggio Ballone (Grosseto) la sera di Ustica. Alla moglie e alla cognata, il giorno dopo la strage, aveva detto sconvolto: "Siamo stati a un passo dalla guerra".

Purgatori Andrea

Pagina 12
(6 novembre 1994) - Corriere della Sera

Strani suicidi o incidenti: 15 morti misteriose dopo la tragedia

DA POGGIO BALLONE A RAMSTEIN Strani suicidi o incidenti: 15 morti misteriose dopo la tragedia

ROMA - Infarti che uccidono all'improvviso uomini nel fiore degli anni. Incidenti stradali misteriosi, dove gli investitori non vengono mai trovati. Suicidi con tre colpi di pistola all'addome. Incidenti aerei con velivoli carbonizzati e vittime intatte. Sottufficiali dell'aeronautica, piloti, generali, politici, un medico: ci sono almeno altre 15 morti misteriose, che incombono sul Grande Mistero di Ustica. Quindici morti che hanno dato origine ad altrettante inchieste, 15 morti senza un perche'. Unite da un unico filo rosso: tutte le vittime avevano qualcosa a che fare con l'abbattimento del DC9 Itavia. E di tutte, la fine piu' inquietante, piu' oscura, e' forse quella di Ivo Nutarelli e Mario Naldini: amici da sempre, piloti delle Frecce Tricolori, i loro aerei si urtarono il 28 agosto '88 durante un'esibizione a Ramstein, in Germania. Settanta morti e 400 feriti, una strage terrificante. Naldini e Nutarelli la sera di Ustica si erano alzati in volo dall'aeroporto militare di Grosseto per intercettare i due aerei "irregolari" che volavano accanto al DC9. Ma qualcuno, aveva poi confidato Naldini ad un amico, li aveva fatti rientrare alla base. Senza spiegazioni. Quando i giornali avevano raccontato la storia di quella notte e del ruolo dei due piloti, c'era subito stata una drammatica reazione: Giampaolo Totaro, ufficiale medico delle Frecce Tricolori per otto anni, si era impiccato alla porta del bagno di casa. Era il 2 novembre del '94. E Totaro diventava il quindicesimo morto della serie. Il primo si chiamava Giorgio Tedoldi, era il comandante della base di Grosseto la notte di Ustica: l'8 agosto del 1980, due mesi dopo la tragedia del DC9, la sua auto aveva sbandato all'improvviso mentre percorreva la via Aurelia, e si era schiantata contro un platano. Il colonnello era morto sul colpo, assieme alla moglie e ai due figli. In mezzo, una lunga scia di sangue. Il capitano pilota Maurizio Gari, morto d'infarto a 32 anni. Era il capoturno del radar di Poggio Ballone. Il sindaco comunista di Grosseto Giovanni Finetti, morto in un incidente: faceva domande ai militari del "suo" aeroporto. E poi il maresciallo identificatore del radar di Poggio Ballone Alberto Mario Dettori, trovato impiccato a un albero. Il generale Licio Giorgieri, assassinato da un commando di terroristi. "Quella" sera era in volo con un generale indagato da Priore. E ancora il maresciallo Ugo Zammarelli, in servizio alla base Nato di Decimomannu, ucciso da un motociclista pirata, il maresciallo Antonio Nuzio, suicida con tre colpi di pistola all'addome, il capitano di fregata Antonio Sini, morto nel rogo del traghetto "Moby Prince", il colonnello Sandro Marcucci, caduto con un Piper antincendio, l'ammiraglio Giovanni Torrisi stroncato da un infarto. Fino al generale Roberto Boemio, ex sottocapo di stato maggiore, assassinato a Bruxelles a coltellate da due sconosciuti.

Gallo Giuliano

Pagina 5
(18 giugno 1997) - Corriere della Sera

 

Conclusioni

A conclusione una sintesi dell’enorme numero di perizie d’ufficio e consulenze di parte, oltre un centinaio al termine del 31 dicembre 1997:

  1. perizie tecnico-scientifiche: necroscopiche, medico-legali, chimiche, foniche, acustiche, di trascrizione, grafiche, metallografico-frattografiche, esplosivistiche, che non sono mai state contestate da alcuna parte. Sono state essenzialmente quattro:
    • Stassi, Albano, Magazzù, La Franca, Cantoro, riguardanti le autopsie dei cadaveri ritrovati, durata anni, non s’è mai pienamente conclusa;
    • Blasi, riguardante il missile militare che ha colpito l'aereo civile, durata molti anni, è sfociata in spaccature profondissime e mai risolte;
    • Misiti, riguardante l'ipotesi bomba, durata più anni, è stata rigettata dal magistrato perché affetta da tali e tanti vizi di carattere logico, da molteplici contraddizioni e distorsioni del materiale probatorio da renderlo inutilizzabile ai fini della ricostruzione della verità;
    • Casarosa, Dalle Mese, Held, concernente la caduta del MiG-23.
  2. Perizie d’ordine generale ovvero quelle con quesiti sulla ricostruzione dei fatti e sulle loro cause, che sono state sottoposte a critiche, contestazioni ed accuse:
    • radaristiche che hanno determinato documenti di parte critici e contrastati, in particolare l’interpretazione dei dati radar ovvero l’assenza o la presenza di altri velivoli all’intorno temporale e spaziale del disastro;
    • esplosivistica, dalle cui sperimentazioni sono state tratte deduzioni di parte a volte non coincidenti.

 

Conclusioni del Giudice Rosario Priore

Foto di A. Alpozzi

Oggi, a sentire le parole del senatore a vita Francesco Cossiga, che all’epoca era il presidente del Consiglio dei Ministri - parole che, ventotto anni dopo, hanno ispirato un nuovo filone investigativo su cui lavora ancora la Procura di Roma – sembra certo che quella notte nei cieli italiani si consumò una battaglia aerea che vide i caccia della Marina Francese colpire l’aereo sbagliato nel posto giusto: lì, in quel tratto di buio sopra il Tirreno, doveva esserci l’aereo con a bordo il  Muammar Gheddafi, non il DC-9. Un errore, quindi, che attende ancora che sia fatta giustizia. Dubbi non ce n’erano, fin dall’inizio, fin dalle ore successive mentre tutti puntavano il dito contro la compagnia Itavia, accusata di far volare aerei “carretta”, messa prima in ginocchio e poi fatta fallire. Cinque mesi dopo la strage, due tra i massimi esperti di guerra aerea, gli americani John Transue e John Macidull, guardando il tracciato radar di Ciampino, non ebbero alcun dubbio: nel punto dove il DC-9 è scomparso, un altro aereo, un caccia, ha compiuto una manovra d’attacco da manuale, incrociando la rotta dell’Itavia da ovest verso est. Questo contesto, per chi ha indagato, altro non è che la realtà, chiara e semplice, che non può certamente essere più negata, tanto più da chi aveva precisi obblighi verso i cittadini. 

Nel ’99, dopo nove anni di istruttoria, il giudice Rosario Priore, l’unico che in questa storia provò ad arrivare fino in fondo, scrisse nero su bianco che il DC-9 fu vittima di “un’azione militare di intercettamento messa in atto, verosimilmente, nei confronti dell’aereo che era nascosto sotto di esso”. Un atto di guerra, guerra di fatto e non dichiarata, un’operazione di polizia internazionale coperta contro il nostro Paese, di cui furono violati confini e diritti. L’Itavia 870 – concluse la scienza – rimase vittima fortuita di questa azione: di una near collision con un altro velivolo o, peggio ancora, tirato giù da un missile. Quella notte intorno al DC-9, lo dicono i tabulati di Ciampino – miracolosamente scampati dall’azione sistematica e scientifica, di distruzione delle prove – c’erano in volo aerei militari di almeno quattro Paesi: Italia, Libia, Stati Uniti e Francia. Dai depistaggi, ai non so, dai non ricordo, ai colpi di lametta che tagliano intere pagine di registri, dalle bobine cancellate agli aerei che volavano senza nome, è scampata un’unica verità: l’aerovia percorsa dal DC-9, l’Ambra 13, nel punto Condor era intersecata dall’aerovia militare francese Delta Whisky 12. Quella sera, sarà un caso, dalla base francese di Solenzara in Corsica decollarono diverse coppie di Mirage e in mare c’era almeno una portaerei transalpina. Troppi indizi, nessun alibi e, fino a prova contraria, la parola di un ex Capo di Stato,Cossiga. E poi, come non ricordare quel MiG 23 libico, quello ritrovato sulla Sila, caduto – dice la nostra Aeronautica – il 18 luglio ‘80, perché era rimasto senza benzina, ma con dentro un pilota che indossava divisa e anfibi della nostra Aeronautica, morto almeno venti giorni prima, forse addirittura sempre quel 27 giugno. Un MiG con qualche buco di troppo sulla carlinga, che interessa a molti: alla Cia, ai nostri Servizi, ai Carabinieri di Crotone che lo cercano a fine giugno e che negheranno per anni di essersene interessati. Un MiG che verosimilmente “buca” lo spazio aereo italiano mentre nel basso Mediterraneo è in corso un’imponente esercitazione della Nato. Forse la chiave di volta è proprio il suo ruolo, forse, come disse una volta Giovanni Spadolini ai giornalisti: “Scoprite cosa è successo a quel MiG caduto sulla Sila e troverete la chiave per capire la strage di Ustica”. Solo pezzi mancanti, in un enorme puzzle che la magistratura non è riuscita, in trent’anni, a rimettere assieme. Come, ad esempio, le risposte alle decine di rogatorie internazionali promosse nel corso dell’istruttoria, che tre nostri alleati e partner commerciali (Francia, Stati Uniti e Libia), non hanno mai ritenuto opportuno fornire. Ciò che sappiamo, che le indagini hanno certamente chiarito, è che quella sera tutto si consumò sotto gli “occhi” di decine di stazioni radar, sopra le antenne di una dozzina di basi “sigint” dell’intelligence americana, sotto l’ombrello di copertura di numerosi satelliti spia e a portata di un aereo radar Awacs della Nato in volo sull’Appennino tosco-emiliano. Il corridoio percorso dal DC-9 da Bologna a Ponza era tutt’altro che libero, era affollatissimo e anche questo lo sappiamo per le tracce nei tabulati radar, nelle risposte fornite dalla stessa Nato, nelle conversazioni terra-bordo-terra e nelle telefonate intercorse tra Ciampino e l’attaché militare della Ambasciata Americana di Roma.

 

Un segreto che non c’è, anzi che non esiste sulla carta. E’ recente, infatti, la conferma da parte del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza che nessun segreto di Stato è stato mai apposto su atti o documenti inerenti il caso Ustica. Ma questo già lo sapevamo: “Si stima – scrisse il giudice Priore nelle conclusioni della sua monumentale istruttoria – che ci si sia trovati innanzi a qualcosa che è sfuggito e ancora oggi sfugge al controllo istituzionale ed alle garanzie poste dall’ordinamento. Da un punto di vista formale il segreto non esiste; nella sostanza invece esiste ed è stato opposto nei fatti ostacolando ed impedendo di accertare gli eventi e le responsabilità”.

di Fabrizio Colarieti dal libro "Ustica. Scenari di guerra"

 

Rogatorie internazionali - La Francia risponde

Francia risponde alla rogatoria -  La Procura di Roma ha finalmente ottenuto dopo due anni risposte parziali riguardanti il traffico aereo la sera della tragedia: l’esecuzione di una esercitazione e la presenza di navi vicino alla zona in cui il velivolo precipitò. Intanto è stato ascoltato un pilota: "Vidi una flottiglia di navi".
 
A quasi 33 anni dalla strage di Ustica la nuova indagine sull’abbattimento del Dc9 dell’Itavia, che si portò via la vita di 81 passeggeri, tra cui 11 bambini, procede in silenzio. C’è una nuova testimonianza e dopo due anni la Francia ha risposto ad una rogatoria presentata dalla Procura della Repubblica di Roma per capire le “presenze” nei cieli e nel mare il 27 giugno 1980.
 
La rogatoria dalla Francia: traffico aereo e presenza navi. Le risposte alla richiesta di assistenza giudiziaria rivolte al governo francese ora sono al vaglio del procuratore aggiunto Maria Monteleone ed Erminio Amelio. Si tratta di una prima, voluminosa e parziale risposta alle domande degli inquirenti che attendono ora il completamento della fornitura di indicazioni. Tra i quesiti posti dai magistrati di piazzale Clodio, quelli riguardanti il traffico aereo la sera della tragedia: l’esecuzione di una esercitazione e la presenza di navi vicino alla zona in cui il velivolo precipitò. Quest’ ultima domanda assume particolare rilevanza anche alla luce della testimonianza di un pilota dell’Ati rintracciato per caso nelle ultime settimane, il quale ha riferito che la sera precedente il disastro sorvolò il largo di Ustica notando alcune navi tra cui una portaerei: circostanza, come riportato oggi da Repubblica, che potrebbe assumere un particolare rilievo. 
 
La nuova testimonianza di un pilota: “Vidi una flottiglia di navi”. “Sorvolai i cieli di Ustica al comando di un volo di linea Alitalia, il giorno prima e, ancora, qualche minuto prima che accadesse la tragedia - avrebbe raccontato il testimone al procuratore aggiunto Monteleone e al pm Amelio che hanno secretato il verbale -. Dopo alcuni minuti dal decollo dall’aeroporto di Palermo, sotto di me notai una flottiglia di navi: una che sembrava una portaerei e almeno altre tre-quattro imbarcazioni. Ho commentato con l’altro comandante questa presenza e quando seppi della tragedia pensai subito a quell’addensamento navale”. Un racconto “attendibile e circostanziato” secondo il giudice Ferdinando Imposimato, presidente onorario aggiunto della Cassazione. “Si integra perfettamente con quanto è stato accertato negli ultimi tempi ovvero con l’ipotesi di un missile partito da un aereo - ragiona il magistrato - Bisogna verificare la nazionalità della portaerei che si trovava nelle acque territoriali italiane. Non si può escludere che proprio dalla portarerei sia partito il Mig libico che si è poi abbattuto in Sila” sottolinea Imposimato, che della vicenda di Ustica si occupò tra il 1987 e il 1992, come membro del Copaco, il Comitato parlamentare di controllo dei Servizi segreti. “Attendiamo le indagini dei magistrati romani e le verifiche spero solo che non vengano apposti segreti di Stato. Questo bloccherebbe ancora una volta le indagini per accertare la verità. Ustica è ancora una ferita aperta”.
 
La tesi del missile è ormai stata certificata da una sentenza passata in giudicato; quella della Cassazione nel giudizio civile che ha visto lo Stato condannato a risarcire le famiglie delle vittime. Secondo i supremi giudici l’aereo fu abbattuto da un missile. L’inchiesta della procura di Roma è ripartita alcuni anni fa grazie alle dichiarazioni di Francesco Cossiga il quale disse di sapere che “c’era un aereo francese che si mise sotto il Dc 9 Itavia e lanciò un missile per sbaglio”.

Risarcimenti all'ITAVIA

Risarcimento danni all'Itavia e ai suoi dipendenti

Aldo Davanzali perse la compagnia aerea Itavia, che fu fatta chiudere da Rino Formica nel 1980, sulla base di una conclusione peritale errata e circa un migliaio di dipendenti dell'Itavia persero il posto di lavoro.
Aldo Davanzali, presidente dell’Itavia, chiese allo Stato un risarcimento di 1.700 miliardi per i danni morali e patrimoniali subiti dopo la strage di Ustica, nell’aprile 2001. L’Itavia ottenne poi 108 milioni di euro, perché lo Stato non aveva garantito la sicurezza dell’aerovia.

Risarcimento recupero carcassa del DC-9

La Corte dei Conti richiese un risarcimento di 27 miliardi di lire a militari e personaggi coinvolti, come compenso per il recupero della carcassa del DC9.

Condanna in sede civile dei ministeri dell'interno e dei trasporti e inchieste ancora aperte

Il 10 settembre 2011, dopo tre anni di dibattimento, una sentenza emessa dal giudice civile Paola Proto Pisani, ha condannato i ministeri della Difesa e dei Trasporti al pagamento di oltre 100 milioni di euro in favore di 42 (quarantadue) familiari delle vittime della Strage di Ustica. Alla luce delle informazioni raccolte durante il processo, i due ministeri sono stati condannati per non aver fatto abbastanza per prevenire il disastro (il tribunale ha stabilito che il cielo di Ustica non era controllato a sufficienza dai radar italiani, militari e civili, talché non fu garantita la sicurezza del volo e dei suoi occupanti) e fu ostacolato l’accertamento dei fatti.

Infatti, secondo le conclusioni del giudice di Palermo, nessuna bomba esplose a bordo del DC-9, bensì l'aereo civile fu abbattuto durante una vera e propria azione di guerra che si svolse nei cieli italiani senza che nessuno degli enti controllori preposti intervenisse. Inoltre, secondo la sentenza, vi sono responsabilità e complicità di soggetti dell'Aeronautica Militare Italiana che impedirono l'accertamento dei fatti attraverso una innumerevole serie di atti illegali commessi successivamente al disastro.

Il 28 gennaio 2013 la Corte di Cassazione, nel respingere i ricorsi dell'avvocatura dello Stato ha confermato la precedente condanna, stabilendo che la strage di Ustica avvenne a causa di un missile o di una collisione con un aereo militare, durante una vera e propria azione di guerra, e non di una esplosione interna al velivolo. I competenti ministeri furono dunque condannati a risarcire i familiari delle 81 vittime per non aver garantito, con sufficienti controlli dei radar civili e militari, la sicurezza dei cieli. La sentenza fu accolta favorevolmente dall'associazione dei familiari delle vittime.

Il 25 Febbraio 2013 la Procura di Massa apre le indagini su un altro incidente aereo, quello del 2 Febbraio 1992 a Campo Cecina, dove rimasero uccisi i due piloti Silvio Lorenzini e appunto Alessandro Marcucci. Si dice esistano pesanti sospetti che non si sia trattato di una fatalità, bensi di un vero e proprio omicidio. Il fascicolo al momento è aperto contro ignoti. Il giallo di Ustica e dell'Itavia quindi non si è ancora concluso e anzi, a quanto pare, si arrichisce di un nuovo inquietante capitolo: la Magistratura ha infatti dato avvio ad un nuovo procedimento di inchiesta sulla morte di Alessandro Marcucci, che sarebbe collegata a quella delle vittime del DC9 Itavia. Nel mese di settembre 2012 l'associazione animafia "Rita Atria" aveva presentato un esposto con lo scopo di richiedere la riapertura delle indagini, dichiarando che i due piloti del velivolo antincendio, caduto a Campo Cecina, non sarebbero morti a casua di un errore umano o comunque a causa di un "comportamento azzardato" come invece decretato dalla Commissione Tecnica di Inchiesta del Ministero dei Trasporti. In particolare, Alessandro Marcucci, era un ex pilota dell'Aeronautica Militare coinvolto come testimone nell'inchiesta per la strage di Ustica.